Il guasto al treno
Il treno era fermo da più di un’ora sui binari roventi di mezza estate e l’aria condizionata funzionava a malapena. Tutti noi passeggeri eravamo nervosi e stremati dal caldo. Con una telefonata ero riuscita ad avvisare Teresa, l’amica milanese che mi avrebbe ospitata per qualche giorno e che sarebbe venuta a prendermi in stazione ma il sollievo di non saperla in attesa per ore non era bastato a migliorare il mio umore.
La signora seduta di fronte a me invece sembrava fresca e serena, aveva tirato fuori dalla borsa un lavoro a maglia e sferruzzava due scarpette da neonato.
La guardai stupita da tanta compostezza e calma mentre intorno a lei era tutto un sventolarsi con qualsiasi oggetto in grado di smuovere un po’ d’aria e maledire la compagnia ferroviaria.
Lei se ne accorse e mi sorrise, poi iniziò a parlare come se io le avessi chiesto qualcosa.
Le scarpette e il caffè sospeso
“Sono scarpette per mia nipote. Nascerà tra poco più di un mese e io le ho già fatto di tutto: tutine, copertine, minuscoli cardigan.
Mancavano solo le scarpette. Non so come mai non ci avessi pensato prima ma ora ne sto confezionando di più colori. Queste sono le terze. Non lo trova delizioso?”
Domandai cosa avrei dovuto trovare delizioso, non mi era chiaro se stesse parlando delle scarpette o di qualcos’altro che mi era sfuggito.
“Anche delle scarpette ma soprattutto del fare qualcosa con amore senza che il destinatario del gesto lo sappia”
Mi venne subito in mente la bella usanza napoletana di lasciare un caffè sospeso. La tradizione prevede che recandosi al bar per consumare una tazzina di caffè se ne paghino due invece di uno per offrire in questo modo un caffè a chi non potrebbe permetterselo, che arrivato al bar può chiedere se c’è un caffè pagato e gustarselo gratuitamente.
Nella mia famiglia lo si faceva ogni volta che c’era qualcosa da festeggiare tipo una nascita, un compleanno, una promozione.
Nonno diceva sempre che se una benedizione arriva a toccarti il cuore, questo potrebbe anche scoppiare se di tanto bene non se ne cede un po’ ad altri.
Lo raccontai alla signora che annuì soddisfatta e poi riprese a parlare.
“Quando mia figlia entrò nell’adolescenza i rapporti tra noi divennero molto complicati.
Quella che fino a pochi mesi prima era una ragazzina che iniziava a raccontare della sua giornata appena aperta la porta di casa, ancora con il cappotto addosso, divenne una giovane donna che trascorreva ore ed ore chiusa in camera senza permettere a me e a suo padre di entrare.
Non capivamo. Ne parlai con colleghe e amiche che avevano figli della stessa età e tutte rispondevano che anche loro avevano la sensazione di essere diventati degli “estranei” per i propri ragazzi così, da un giorno all’altro.
A ciò si aggiunse la preoccupazione di vederla saltare con una certa frequenza pranzi e cene.
Passerà
Continuava ad impegnarsi nello studio e ai colloqui i professori tessevano le sue lodi, questo mi tranquillizzava ma il suo silenzio era come la punta di un coltello premuta contro il fianco.
I miei sensi erano in allerta, annusavo l’aria intorno a lei come un segugio nel tentativo di captare il segnale di un disagio.
Ma nulla lasciava trapelare un pericolo e così alla fine io e mio marito ci dicemmo che forse era normale quel suo modo di fare. Ci parve di ricordare che anche a noi era accaduto da ragazzi e che sarebbe passata, prima o poi.
Un pomeriggio di primavera mia figlia mi chiese di comprarle dei jeans nuovi e a me non parve vero di uscire insieme anche se solo per comprare qualcosa. Volevo offrirle un gelato, lei era ghiotta di gelato, ma rispose di no e che aveva fretta di tornare a casa a studiare.
Non immaginavo
Giunte nel negozio scelse un paio di jeans al volo e si chiuse nel camerino per misurarli, ma aveva preso la taglia sbagliata e mi chiese di portargliene un altro paio della giusta taglia. Mi sembrò strana quella richiesta perché sapevo che la sua taglia era proprio quella che aveva preso ma le portai comunque gli altri jeans e per darglieli aprii la porta del camerino e la vidi, era magrissima!
Quasi la metà di quella che io ricordavo. Come avevo fatto a non accorgermene? Forse perché s’infagottava con strati e strati di maglie, ma questo non avrebbe dovuto impedirmi di capire.
Ricordo che per non farle vedere le lacrime che mi salirono agli occhi le passai il paio di pantaloni e uscii di fretta sbattendomi la porta alle spalle.
Quella notte non riuscii a dormire.
Non avevo detto nulla a mio marito perché ero certa che avrebbe risposto di non preoccuparmi e invece c’era tanto da preoccuparmi.
Ma non sapevo cosa fare, a chi chiedere e soprattutto avevo paura che qualsiasi cosa dicessi o facessi potesse fare in modo che lei si chiudesse ancora di più in se stessa. Aveva bisogno di aiuto ma doveva prima di tutto riconoscerlo.
Rifare il letto
La mattina seguente mia figlia andò a scuola come al solito e io entrai nella sua stanza.
Osservai ogni cosa, la coperta ben tirata, i cuscini sprimacciati a dovere, la scrivania in perfetto ordine.
Volevo fare qualcosa per lei, ma cosa?
Avevo la testa talmente confusa che le mani iniziarono a fare prima che potessi formulare un pensiero e così mi ritrovai a togliere coperta e lenzuola dal letto e mettere tutto in lavatrice. Poi presi dal cassetto le lenzuola azzurre di lino e la coperta che avevo lavorato ai ferri anni prima usando tutta la lana d’avanzo dei maglioni fatti. Ne era venuto fuori un caleidoscopio di colori che faceva pensare a un prato fiorito.
Rifeci il letto mettendo amore in ogni gesto mentre ripetevo ‘Starai bene, stai già meglio’ come una dolce ninna nanna.
Il resto del giorno passò in qualche modo e la notte mi sorprese talmente sfinita da cadere in un sonno senza sogni.
Il mattino dopo preparai la colazione senza staccare i pensieri da mia figlia e quasi sobbalzai quando la vidi entrare in cucina.
Mi diede il buongiorno e poi disse -Stanotte ho dormito bene. Mi faresti un caffellatte mamma?
Poi aggiunse – Credo di avere un problema. Ti va di ascoltarmi?
Da quel momento tutto iniziò a migliorare.
Cercammo insieme la persona giusta e mia figlia tornò ad essere la ragazza di prima anzi no, molto meglio di prima.
Io sono convinta sia stato merito dell’amore che avevo messo nel rifarle il letto. Non lo pensa anche lei?”
Mi asciugai gli occhi e le dissi che certamente era stato così.
Poi il treno riprese la sua corsa.
Come ogni cosa nella Vita.
6 Commenti
❤
… toccante, ho sentito di leggere seppure non ho ora una figlia adolescente ma mi viene da stare in profondo ascolto delle vicende umane…ho sentito nel cuore la forza dell’amore, quello che muove le montagne, in questo caso quello materno è passato attraverso quelle coperte portando il suo messaggio di vita e di guarigione, quello che quella mamma desiderava dare, soffrendo per non essersi accorta prima di ciò che accadeva. ♥️
Mi commossi parecchio anch’io nell’ ascoltare quella mamma. Grazie Elvira❤️
Grazie 🙏 ❤️
Cara Milena, la tua grande sensibilità ti ha portata a trovare il modo giusto per sbloccare una situazione ahimè frequente… il che da un canto consola e dall’altro mi fa capire però che evidentemente io ancora non sia riuscita a trovare le parole giuste, perché con mia figlia ormai quarantottenne non riesco ancora a comunicare ed è un continuo scontro, con una rabbia per me incomprensibile che non accenna a diminuire…
Comprendo benissimo Roberta. La cosa che mi ha colpita maggiormente della storia della signora del treno, era la totale assenza di volere una risposta in cambio del suo gesto e la risposta è puntualmente arrivata. Per mia diretta esperienza posso invece dirti che io applico il lasciar andare e nei momenti(pochi per fortuna) in cui ho avuto dei disaccordi con mia figlia mi sono limitata alla non-azione e al lasciar passare il tempo della rabbia.
Ci sono riuscita lasciandomi assorbire in maniera totale da ciò che avevo da fare; una cosa alla volta, con tutta la mia presenza.
Funziona sempre.
Mille benedizioni a te.