Durante le presentazioni dei miei libri racconto volentieri questo aneddoto. All’inizio lo facevo perché la ritenevo una curiosa coincidenza poi, con il passare degli anni, ho compreso ciò che davvero mi ha insegnato quell’incontro e che tipo di uomo fosse colui che, non a caso, descrivono come il “grande” Eduardo.
Nuvole di panna in cielo
All’epoca ero un’alunna di quinta elementare, abitavo a Napoli e come molti dei miei compagni di classe andavo a scuola da sola a piedi, attraversando i vicoli del centro. Non esistevano cellulari, quindi nessuno era rintracciabile una volta uscito da casa, esisteva solo la fiducia che i genitori riponevano nei figli. Laddove questi ultimi si fossero rivelati degli incoscienti scapestrasti, le madri si recavano in chiesa e accendevano un cero a San Gennaro dicendo “Pensaci tu”.
Mia madre non aveva mai dovuto spendere soldi per i ceri a causa mia, di solito le bastava guardarmi negli occhi prima che uscissi e sussurrare “Statti accorta” prima di darmi un bacio lieve sulla fronte.
Solitamente ciò bastava a fare di me una bambina responsabile.
Ma quella mattina nel cielo di Napoli c’erano le nuvole fatte come la panna, quelle mi piacevano più di tutte e che cercavo inutilmente di riprodurre nei miei disegni.
Un angelo tra i vicoli
Fu per questo che, stando con il naso all’insù, non feci caso alla macchina che non m’investì solamente perché qualcuno, probabilmente un angelo, mi sollevò da terra per depositarmi mezzo metro più in là della morte certa.
Scoprii che non era stato un angelo bensì un anziano signore dotato di una forza insospettabile e di una prontezza di riflessi ragguardevole.
Appena mi resi conto del pericolo al quale ero scampata iniziai a tremare come una foglia di pioppo tremulo in una giornata ventosa, mentre la gola sembrava essersi seccata all’improvviso impedendomi di emettere qualsiasi suono.
Il mio salvatore comprese che stavo per svenire e siccome eravamo proprio di fronte a un rinomato caffè del centro, mi fece accomodare sulla sedia posta accanto a uno degli eleganti tavolini esterni presso il quale giunse immediatamente un cameriere chiedendo se poteva servirci qualcosa.
Il tempo di un bicchiere di latte
L’anziano sedette di fronte a me e chiese un caffè ristretto per lui e un bicchiere di latte tiepido, abbondantemente zuccherato, per la creatura.
Ritrovai a fatica l’uso della parola, giusto per dire che dovevo andare a scuola ed ero già in ritardo, ma i suoi occhi m’inchiodarono alla sedia e la sua voce profonda e ferma disse:
«Non devi andare da nessuna parte in questo momento. Tutto ciò che devi fare è prenderti il tempo di bere il bicchiere di latte che ti ho ordinato e aspettare che faccia effetto. Poi potrai andare a scuola»
«Non c’è tempo» sussurrai.
«Piccirè, il tempo ci sta sempre, solo che a volte si nasconde e tu non lo vedi. Il tempo è galantuomo e, se serve, si ferma per farti fare quello che devi fare. Sai come dico alle persone che lavorano con me?»
Feci segno di no con la testa.
«Se ti sembra di non avere cinque minuti, allora te ne devi prendere dieci. Quindi fammi il piacere di bere questo latte e poi vai».
Feci come mi disse e una volta svuotato il bicchiere mi alzai e andai via senza dire nulla, certa della sgridata che mi sarei presa dalla maestra.
Il tempo si era fermato per me
E invece arrivai in tempo e nessuno si accorse della mia agitazione.
La sera raccontai tutto a mamma. Avrei preferito non dirle nulla ma lei, come tutte le mamme, aveva poteri magici e lo avrebbe scoperto comunque.
Non mi sgridò però si fece il segno della croce e mi chiese se avevo ringraziato quel signore.
Risposi di no, che per la troppa paura non ci avevo pensato e allora mi suggerì di scrivere un biglietto di ringraziamento per lui e di lasciarlo al cameriere del caffè che sicuramente lo conosceva.
Trascorsi la serata a scrivere qualche riga di ringraziamento in bella calligrafia e dopo aver ottenuto l’approvazione di mamma, andai a dormire serena.
Il tempo di ringraziare
La mattina dopo passai davanti al caffè e subito riconobbi il cameriere che il giorno prima mi aveva portato il latte.
«Uè, piccirè, come stai?» mi chiese.
«Bene grazie. Ci sta quel signore?»
«E mica viene tutti i giorni! Oggi non ci sta»
Aprii la cartella e presi il biglietto di scuse, poi glielo diedi e gli chiesi se poteva farglielo avere.
Rispose che lo avrebbe fatto certamente.
Solo più tardi mi resi conto di non aver neppure chiesto il nome del mio angelo salvatore.
Giunta a casa aggiornai mamma che mi domandò «Hai chiesto come si chiama il signore gentile?»
Confessai di non averlo fatto ma nello stesso momento, lui in persona, apparve in televisione intervistato da un giornalista al quale stava raccontando la trama della sua commedia “Filumena Marturano”.
«Eccolo. È lui!» dissi.
2 Commenti
Questa non la conoscevo, è bellissima ❤️ mi son venute le lacrime agli occhi… grazie Milena 🙏❤️
Uno degli incontri più importanti della mia vita e “per” la mia vita.