Le acque del lago erano ferme. Nonno sedeva su una sdraia di vecchia tela un po’ sdrucita con un libro in mano, un grosso cappello di paglia a fargli fresco e lo sguardo distratto sulla canna da pesca di un pescatore poco distante da noi, ficcata nella sabbia. Io fissavo il galleggiante immobile ed ero intontita dal troppo caldo che m’incollava i vestiti addosso e mi faceva sentire la gola arsa.
Il paese distava pochi minuti dal lì, se avessi voluto avrei potuto raggiungere la frescura della nostra casa, fare una doccia, prendere un bicchiere di limonata dal frigo e stendermi sul letto al fresco, in attesa della sera.
Volevo la sua voce a raccontare
Ma non me ne andavo, volevo stare lì, accanto a lui, a sperare che mi leggesse qualcosa, anche solo un rigo di un libro, anche una sola parola. Poi avrei chiesto spiegazioni e lui me ne avrebbe date e sarei rimasta felice a bermele come limonata fresca.
Ma quel giorno lui non parlava e allora gli chiesi io di farlo per me.
Rispose, da sotto il cappello, che quel giorno non lo avrebbe fatto. Ci rimasi male, ma mi aveva insegnato a non demordere, a non smettere di provarci fino a quando si è sicuri che un no sia un no e allora cercai di tentarlo con l’adulazione e gli dissi che era bello quando parlavamo e che mi piaceva imparare cose nuove, che sarei stata attenta agli insegnamenti che spesso nascondeva dietro alle storie che raccontava o leggeva, ma non funzionò. Fece un cenno della mano come a dirmi di tacere e poi mi chiese di restare in silenzio ad ascoltare tutto ciò che c’era da ascoltare oltre la sua voce e la mia.
Cosa dovevo ascoltare?
«Ascolto cosa? Non c’è niente qui da ascoltare»
mi lamentai.
Non si mosse ma percepii il suo sguardo furioso dietro la paglia bucata del cappello.
«Niente da ascoltare dici? Non hai idea del chiasso che sta facendo la tua mente. Mi è difficile persino leggere!»
Mi spaventai un poco perché, in effetti, ultimamente mi pareva di avere in testa un intero mercato rionale. Ero tormentata da pensieri disturbanti, che si accavallavano tra di loro producendo una serie di monologhi che urlavano chiassosi la propria precedenza facendomi desiderare soltanto il silenzio.
La mia più grande paura
Ebbi la certezza che quei pensieri fossero sintomo di pazzia e che anche mio nonno percependoli, ne fosse infastidito. Provai vergogna di me, sentendomi inopportuna. La mia più grande paura, quella di essere indesiderata, si stava avverando. Chi avrebbe mai desiderato la compagnia di una ragazzina fastidiosa, poco intelligente e per giunta brutta?
Nonno posizionò il segnalibro tra le pagine del libro, lo chiuse e sollevò la testa facendo in modo che vedessi i suoi occhi azzurri e calmi, poi disse che lo stavo facendo ancora e che tutto quel pensare e pensare non faceva che farmi male. Mi chiese di osservare l’acqua del lago e di invitare la mia mente a imitarla, placando tutta quell’attività frenetica che si svolgeva al suo interno.
Come faccio a smettere di pensare?
«E come faccio a farli smettere? I pensieri dico»
«Come quando vai a casa di amici. Fai una breve visita, ma non ti fermi a dormire. Accetti ciò che ti offrono, ringrazi e poi saluti. Uscendo godi di quello che hai avuto in quel tempo; le piacevoli chiacchiere, il vino fresco con i pezzi di pesche dentro, il riparo dal sole e il latte di mandorla col ghiaccio. Poi torni al silenzio della tua casa e riposi nella penombra delle stanze con le persiane socchiuse».
Mi sembrava di avere già meno caldo. Era sempre così quando nonno parlava. Era come il vento fresco della sera che lo avevo desiderato per tutto il giorno e che arrivando muoveva le maniche corte e larghe della sua camicia che profumava di gelsomino.
2 Commenti
Grazie Milena, queste parole hanno rasserenato anche me ❤️
Felici di averlo fatto., io e nonno.