LA VERGOGNA DI ESSERE MIGLIORI- quando le buone azioni ti costano il giudizio altrui

Esco sempre con una busta nella borsa e un foglio di Scottex per raccogliere le bottiglie di birre e le lattine che trovo in terra. Di solito la busta mi basta per coprire non più di trecento metri di strada che percorro partendo da casa mia verso qualsiasi direzione io voglia raggiungere.

Una città che nessuno ama

Abito a Roma, città bellissima e altrettanto sporca. Monumenti a parte non ho mai visto un luogo così amato dai suoi abitanti e allo stesso modo così maltrattato. Ragazzi e adulti che ignorano i cassonetti, quando non li bruciano, abbandonando i resti di ciò che bevono e mangiano ovunque si trovino al momento di averli finiti e a volte neppure quello, perché spesso gabbiani e topi pasteggiano con resti di pizza ancora nei cartoni.

Basta lamentarsi. Meglio agire.

Ma da tempo ho deciso di smettere di lamentarmi e indignarmi pubblicamente di ciò, iniziando a fare nel mio piccolo ciò che posso.

In questo caso una raccolta di rifiuti che mi costa ben poco tempo e fatica.

La faccio con il cuore, pensando di lasciare dietro ai miei passi un marciapiede più pulito e meno pericoloso per bambini e anziani che potrebbero inciampare e ferirsi con i vetri di una bottiglia di birra.

Non è la stessa cosa!

Eppure di questo gesto, che è nobile negli intenti e nella mia serenità di compierlo, a volte sono costretta a vergognarmi perché spesso devo subire gli sguardi nauseati dei passanti alla vista di me che raccatto immondizia da terra per destinarla al cassonetto più vicino.

Giorni fa una conoscente si è rifiutata di salutarmi dandomi la mano

«Scusa sai, ma ti ho vista prima rovistare tra la spazzatura»

«Veramente stavo differenziando il bottino raccolto sul marciapiede»

«Sì, vabbè è la stessa cosa»

No. Non è la stessa cosa.

E se non bevo alcolici siamo amici lo stesso?

Stesso discorso per quanto riguarda l’essere astemia. Ebbene sì, in una società che non beve più per dimenticare ma per riuscire a vivere, mi sento spesso rivolgere la domanda

«Ma che esci a fare?»

oppure

«Con te non ci si diverte. Perché non ordini almeno un bicchiere di vino? Poi lo bevo io se proprio non lo vuoi. Almeno evitiamo la figuraccia di ordinare solo acqua per te».

E se non mangio animali mi vuoi bene uguale?

E la musica non cambia sul fatto di essere vegetariana. Lo sono nel totale rispetto per chi mangia carne, ma chi mangia carne reputa me una rottura di scatole per il tempo che impiego cercando di scegliere dal menù del ristorante di tendenza del cibo che non contenga parti di animali nella sua preparazione.

Tutti bravi a parole.

Però, scorrendo le pagine dei social, leggo che tutti sono d’accordo sul mantenere le strade pulite, sul bere moderatamente e sul non sacrificare gli agnellini in nome del pranzo di Pasqua.

Allora, mi chiedo, cosa mi sono persa? Quale anello di questa strana catena fallimentare mi è sfuggito?

I nostri nonni dicevano che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.

Io dico che tra il dire e il fare c’è di mezzo il doversi vergognare di essere migliori.